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Tre metri sopra il cielo: a pensavo peggio 

Sul finale si è superato, altrimenti sarebbe caduto nella banalità più estrema. Ho sempre sentito parlare di questo libro ma non ho mai pensato lontanamente di leggerlo, inorridita da qualsiasi cosa italiana e ordinaria. E invece ora ho cambiato idea, senza neanche sapere perché, e la cosa che mi è piaciuta più di tutte è stata proprio l’ordinarietà, ma quella del passato, degli anni ’90 che io non ho vissuto da adolescente come i protagonisti di questo libro ma da “fanciulla”. Ad ogni modo, mi ricordo bene quegli anni, fatti di tanti cliché e marche di prodotti che sono stata contenta di ritrovare durante la lettura. Non solo prodotti ma anche modi di fare, di essere, di vivere. Credo che la potenza di questo libro sia il suo essere una specie di macchina del tempo che ci riporta a quegli anni cari a chi li ha vissuti.

Tra i prodotti citati: le gomme Vigorsol, i biscotti del Mulino Bianco, le merendine Fiesta, i vasetti della Danone, gli Zaini Invicta, il walkman della Sony, la cinta Camomilla, gli yogurt Vitasnella, le magliette della Fruit. Mi ha fatto piacere ritrovare questi riferimenti ai prodotti perché hanno reso i personaggi più veri anche se sono tutti piuttosto stereotipati, eppure credibili, sappiamo che esistono ma sono lontani da noi.

Poi ci sono i giornali, come Novella 2000 e il Corriere dello Sport, famosi un tempo quando c’erano meno cose in giro e soprattutto non c’era internet. Ecco, credo sia proprio questo che rende affascinante questo libro, l’assenza della rete, del World Wide Web, quello che eravamo prima, chiusi nelle usanze, nelle cose che tutti sapevano. Per esempio vengono citate la famigerata Bocconi, la stazione radio RDS, le defunte lire, le agende regalate dalla banca, i telefoni fissi e le cabine telefoniche, le giustificazioni sul diario (altro che il registro elettronico). Poi c’è la musica, il libro ci ricorda gli artisti di un tempo, Battisti, Aerosmith, U2, Elton John, Marco Masini. La musica è sempre presente nel corso della storia, è una vera e propria colonna sonora, che enfatizza i momenti di vita quotidiana, che tutti bene o male ricordiamo. Frequenti i nomi di moto e macchine e motorini. Poi ecco il classico dizionario IL e le vacanze studio EF. Tutto ciò fa sì che le situazioni sono più realistiche più che altro agli occhi degli italiani che hanno vissuto quei giorni. Questo potrebbe essere un problema, non so quanto potrebbe piacere un libro così a tutti quelli più giovani che lo potrebbero trovare astruso, incomprensibile e a tratti ridicolo. Credo che siano pochi quelli che lo leggerebbero per capire come si viveva nei preistorici anni ’90.

La trama è la classica storia d’amore ma non troppo classica, alla fine si risolleva e riesce a stupire per uscire dai binari che temevo percorresse. Sì perché sin dall’inizio si dimostra subito alquanto prevedibile e tutto va come il lettore si prefigura. Eppure non è mai fastidiosa anche se a volte diventa piuttosto ripetitiva e sarebbe servita un po’ di fantasia per farla andare almeno un po’ diversa dalla realtà.

Manca il tocco dell’autore, non c’è niente di lui, i personaggi come dicevo sono tutti stereotipi. C’è Babi, la donzella bella, bionda, brava, amata da tutti, ricca e con l’amica bruttina. Poi c’è lui, Step, il bello e dannato, che si innamora al volo di lei e lei di lui, due mondi opposti, due modi di vivere agli antipodi. Ci sono i genitori di Babi che non capiscono niente dei figli, i genitori di Step sono un disastro, ci sono gli amici di contorno e il sottofondo scolastico e di strada. C’è anche Maddalena, la tipa innamorata di Step, che risulta del tutto scontata ma non infastidisce, anzi da un po’ di pepe.

Tutto ciò mi ha ricordato Grease, sembra una versione all’italiana del noto musical che finisce nel modo più scontato ma rimane sempreverde, mentre questa rischia di stare già appassendo.

Il personaggio migliore che qui viene presentato come un altro stereotipo è la professoressa Giacci, la prof. acida e cattiva che tutti odiano. Nonostante tutto viene descritta così bene che risulta la più genuina e sembra quasi che lo stesso scrittore non si sia accorto di quanto profonda è mentre lui continua a vederla con gli occhi dello studente.

La parte più scadente e del tutto forzata è quella del funerale finale, una piccola tragedia in stile soap opera che poteva essere del tutto evitata e che è servita a fare solo un po’ di scena. Manca il sentimento, non ce ne importa niente di chi muore perché neanche lo scrittore ha mai tenuto veramente a quel personaggio. Lacrime finte e nessun effetto su chi legge.

L’idea originale del titolo e del dialogo che lo cita tra i due personaggi principali resta la parte più iconica di tutta la storia. È stata una pensata geniale che ha reso questo libro un cult insieme al suo potere rievocativo dei tempi andati.

La nota di merito che lo rende per me migliore di quanto sperassi è la fine, la decisione di rimanere realistico fino alla fine, ricordandoci che ognuno è come è e rimane quello che è, nonostante chi incontra e chi ama. Ognuno rimane nel suo rango e la bella donzella non ha mai il potere di far rinsavire il bel ragazzo “cattivo” di cui si è innamorata, a differenza di quello che ci hanno insegnato altri libri come After e le Sfumature, in cui un amore improbabile sistema il caratteraccio del bello di turno. Per fortuna qui non è successo e solo così posso dire che mi è piaciuto.

Per un attimo anche a lui la voglia di entrare, di chiedere qualcosa, di pregare. Ma poi si chiese cosa gliene sarebbe importato a Dio di uno come lui, di uno così. Niente. Dio è felice. Lui ha le stelle. Guardò in alto, nel cielo.

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